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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Mauro Ponzi (a cura di), Klassische Moderne. Un paradigma del Novecento

[a cura di M. Ponzi, Mimesis, Milano 2009]

Il concetto di klassische Moderne ha cominciato ad diffondersi in area germanica dagli anni ’80, un paio di decenni dopo l’affermazione in ambito anglo- sassone della categoria del modernismo. Nello studio più autorevole e citato (H. Koopmann, Der klassisch-moderne Roman in Deutschland: Thomas Mann, Alfred Döblin, Hermann Broch, 1983), il concetto di klassische Moderne si riferisce a un periodo ben definito, gli anni della Repubblica di Weimar, e ha una funzione consacrante. Come le opere di Pound, Joyce, Eliot e Lewis apparse tra il 1910 e il 1930 vengono raggruppate e canonizzate alla voce high modernism, così la klassische Moderne definisce un canone estetico di opere allo stesso tempo paradigmatiche, ovvero “classiche”, della modernità e occhieggianti al classicismo weimariano di primo Ottocento: La montagna incantata (1924), Berlin, Alexanderplatz (1929) e I sonnambuli (1930-32).

I contributi di questo volume, che raccoglie gli atti di un convegno tenutosi a Roma nel 2007, si basano invece per la maggior parte su una definizione data nel 2003 dai curatori della rivista «Musil-Forum »: per Matthias Luserque-Jacqui e Rosemarie Zeller il concetto di klassische Moderne ha funzione descrittiva, definendo il periodo di storia letteraria compreso tra il 1880 e il 1930. Caratteristiche della letteratura di quest’epoca, tendenzialmente identificata con il solo genere romanzo, sarebbero «il rifiuto della coesione narrativa, la crescente perdita dell’io, l’impossibilità di dominare attraverso il romanzo la crescente complessità del mondo, la problematizzazione di ogni norma rigidamente definita ». La klassische Moderne finisce così per coincidere con la Moderne senza aggettivi, ovvero con la modernità letteraria, perdendo il contrassegno canonizzante della classicità.

Il volume risulta di conseguenza piuttosto eclettico: rifacendosi alle proposte teoriche più disparate (dal Modernismo reazionario di Jeffrey Herf alle tesi dello storico dell’età di Weimar Detlev J. Peukert, passando per l’immancabile Benjamin) c’è chi rintraccia il denominatore comune del periodo nel passaggio a una concezione della letteratura come esperimento, chi esplora l’“avanguardia marginale”, chi ripercorre la genesi dell’idea di Moderne negli anni ’80 dell’Ottocento attraverso gli scritti del critico Hermann Barr, e chi – la maggior parte – cerca di evidenziare aspetti caratteristici della klassische Moderne nell’opera di singoli autori (Schnitzler, Wedekind, Musil, Kafka, Ball, Hofmann – sthal e Rilke) o in alcuni temi specifici (il rapporto tra romanzo e giornalismo, il progressivo diffondersi dell’illuminazione a gas).

I contributi di maggiore impegno teorico approdano a conclusioni che potremmo dire scettiche: Silvio Vietta, autore nel 2001 di una Ästhetik der Moderne, tende a retrodatare la rivoluzione estetica della modernità al Settecento, e a rintracciare già nel Werther e poi nei racconti di E.T.A. Hoffmann il prospettivismo caratteristico del romanzo moderno; mentre Helmuth Kiesel, che nel 2004 ha pubblicato una Geschichte der literarischen Moderne, sostiene, in polemica con Koopmann, che è illegittimo usare un concetto estetico come quello di klassische Moderne in funzione periodizzante, poiché opere «in cui il moderno si mostra con sembianti classici» appaiono, da Baudelaire in poi, almeno fino a Peter Handke.

L’impressione generale è che la klassische Moderne sia come la fede degli amanti in Metastasio, «che vi sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa», e che in fin dei conti, come Perry Anderson provocatoriamente ha detto del modernismo, non sia altro che un concetto portmanteau, «il cui solo referente è il trascorrere del tempo». Viene da chiedersi se l’intrinseca ambiguità di concetti costruiti sulla semplice opposizione temporale tra un prima e un dopo, come appunto modernità, modernismo o Moderne sia oggi ancora produttiva o non contribuisca piuttosto a ostacolare l’elaborazione di categorie – siano esse consacranti o descrittive – più stringenti, che poggino sulle più solide basi di una filosofia della storia all’altezza dei tempi.

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